Biografia

Mario Tommasini nasce a Parma il 20 luglio 1928, in borgo Gazzola, una stradina laterale di borgo del Naviglio, contrada famosa per i suoi tumulti, per le barricate antifasciste.
Chi è stato bambino assieme a lui lo ricorda per la sua vocazione  ad essere un capo; nei giochi, nelle sassaiole, nelle ribellioni a scuola contro le ingiustizie. Nei borghi, dove Mario cresce, è viva la memoria delle grandi rivolte e dei grandi scioperi: nel 1908 i lavoratori delle campagne lottano per mesi contro le paghe da fame e gli operai del Naviglio sono tra i primi a portare la loro solidarietà sfidando gli squadroni delle guardie a cavallo. Nel 1922 i borghi alzano barricate contro i fascisti di Italo Balbo, ultimo tentativo  di resistenza al nascente regime. Se ne parla nelle strade, nelle osterie, nelle case. Anche in quella di Mario, dove si riunisce una cellula clandestina del Partito Comunista. Da una porta socchiusa il ragazzo ascolta quei discorsi ed è come se la sua avversione naturale  alle arroganze diventasse una cosa sola con la speranza nel comunismo, quel progetto di società futura che è sempre nelle parole degli adulti.
A 14 anni è tra i partigiani più giovani. Milita nei Gap, i gruppi d’azione patriottica. E compie azioni spericolate contro i carri armati dei nazisti che sfiorano i borghi. Riceverà nel 1967 la Croce al merito per la lotta partigiana.

Dopoguerra e impegno politico

Nei suoi furori s’intreccia però una compassione profonda per gli uomini, a qualsiasi colore politico appartengano. Nei giorni della liberazione, nell’aprile del 1945, riesce a salvare un fascista contro il quale è già schierato un plotone di esecuzione dei partigiani.
Col dopoguerra si apre la lunga stagione delle lotte politiche e sindacali. Mario è tra i protagonisti. Se ne accorgono anche i giornali di parte avversa. Dopo una tumultuosa manifestazione, la Gazzetta di Parma scrive che a distinguersi tra gli operai è “il solito Tommasini”. Manifestazioni che non di rado finiscono con arresti, manette e carcere di San Francesco.
Anche nella primavera del 1953. Mario è in cella con altri compagni. C’è anche Ettore Ghiozzi (il padre del futuro attore Gene Gnocchi). Nell’ora d’aria tutti sono in cortile. Gli agenti maltrattano un carcerato che grida, li implora. Non è che stia chiedendo chissà cosa. E’ stato operato  da poco e vorrebbe andare subito al gabinetto, non mettersi in fila con gli altri. Mario va a cercare d’aiutarlo. Accorrono altri agenti. Il carcerato che si lamenta non è un “politico”, è un “comune”, cioè un rubagalline o qualcosa di simile. Arriva anche un gruppo d’altri carcerati, comunisti di Reggio Emilia. E rimproverano Mario: “Tu sei un compagno. Non sai che il partito ci impedisce di avere rapporti con i “comuni”?. Mario li manda”a quel paese”. “Sono un compagno per questo. Per essere dalla parte di chi è maltrattato, senza chiedergli se è comunista o no”. Poi chiede agli altri di sedersi in cortile. Non se ne sarebbero andati senza prima avere avuto la garanzia che il carcerato ammalato sarebbe stato trattato bene. Le garanzie arrivano e Mario è chiamato nell’ufficio del direttore: “Senti Tommasini, tu mi dai troppi guai. Vattene da San Francesco”.
E’ del borgo anche la ragazza che sposa, Lina Pezzi. Dal matrimonio nascono Arturo e Barbara.

Assessore in Provincia e l’impegno per Colorno

Tra discussioni, proposte (e realizzazioni) di rinnovamento, congressi, responsabilità nuove, l’azione di Tommasini è forte all’interno del partito. E’ sempre più largo, nella base, il consenso a Mario. Ma sono anche forti le diffidenze da parte di alcune gerarchie, regionali e nazionali: troppo irruente, troppo indipendente dalle “indicazioni superiori”. Nelle amministrative degli anni Sessanta ottiene molti voti. E’ conseguente la nomina ad assessore provinciale. Assessore ai Trasporti (e riesce a togliere ai privati le linee provinciali), con delega per l’Istituto psichiatrico di Colorno. In un giorno di nebbia, l’8 marzo 1965, va a visitare il manicomio. Gli sembra che la nebbia gli entri anche in corpo.  Quando da ragazzo, sentiva questa parola, manicomio, la sentiva avvolta da un cupo mistero. Capitava, a volte, che scomparissero dai borghi persone segnate da “differenze”, da “manie”. Chiedeva: “Dove sono andate?”. Gli rispondevano: “A Colorno, al manicomio. Per farsi curare”. Ma da là non tornava mai nessuno. Ci sono quasi 1200 internati a Colorno, spesso in condizioni disumane, 170 infermieri e 4 medici.
Mario entra, percorre i lunghi corridoi, guarda le finestre sempre sprangate da inferriate. Sente lamenti. Vede persone legate ai letti, altre che si trascinano come se non sapessero dove andare. O sedute per terra, gli occhi persi chissà dove. Donne scapigliate. Il professore che l’accoglie gli consiglia di tornare un altro giorno. Di lasciar perdere, anzi, quell’incarico. “Mi sembra troppo impressionato”.
Tommasini ascolta il consiglio. Riprende con l’utilitaria della Provincia la strada per Parma. Forse, davvero, sarà meglio rinunciare. Ma più si allontana da Colorno più gli tornano in mente i volti incontrati in manicomio. Anche quei poveretti scomparsi dai borghi. Anche vecchi partigiani chiusi chissà mai perché la dentro. “No, non posso abbandonarli”. E torna a Colorno. Quel giorno, e quasi ogni altro giorno da allora.
Sbattendo la testa contro ogni burocrazia, riesce, poco a poco, a cambiare la vita nel manicomio. Fino a capire che là dentro nessuna terapia, pur migliorativa che fosse, avrebbe potuto aiutare i malati.
In città le idee dell’Assessore sollevano discussioni. Anche scandalizzate. Mario ha la quinta elementare. “Come può un operaio scontrarsi con luminari della scienza?”. Qualcuno suggerisce a Tommasini: “Conosce il professor Basaglia? Vada a trovarlo”. Ci va. Non solo, convince Basaglia a trasferirsi a Colorno: con lui inizia la lunga battaglia per il ripensamento del concetto stesso di Ospedale psichiatrico. L’operaio e lo scienziato sono appassionatamente d’accordo. Gli ammalati cominciano a lasciare il manicomio. Mario trova case, appartamenti. E molte vite che tra le sbarre sembravano spente, tornano a fiorire. Sempre con una assistenza, ma discreta.

Vigheffio, il brefotrofio, il carcere

Per loro viene riattata una fattoria abbandonata , a Vigheffio, non lontano da Parma. E la città conosce un’epopea di solidarietà. Decine di operai rinunciano ai giorni di riposo per rimettere a nuovo, senza paga, la fattoria. Industriali si offrono per arredare le stanze, a Vigheffio e nelle case in città. Vengono create numerose cooperative di solidarietà formate anche da ex degenti. Contemporaneamente, nel 1970, come membro del consiglio di amministrazione degli Ospedali riuniti di Parma promuove la chiusura del Brefotrofio sostenendo le madri naturali o affidando i bambini abbandonati ad altre famiglie. Quasi mille bambini sparsi negli istituti di tutta Italia tornano in provincia. Con gli affidi anche il carcere minorile è chiuso. Cancellate le “classi differenziali”: i ragazzi handicappati cominciano a frequentare le scuole come tutti gli altri. O vengono inseriti nel mondo del lavoro, nelle fabbriche, nei laboratori.

Il premio Schweitzer

Tommasini è chiamato a Bruxelles, dove attraverso le sue azioni nel sociale contribuisce alla definizione di nuove normative europee. Ai carcerati viene data la possibilità di lavorare fuori dalle mura delle prigioni: ad alcuni è affidata la rimessa a nuovo di giardini degli asili infantili. La sua opera viene richiesta in Grecia, in Brasile, a Santo Domingo. A Parigi, dopo la conferenza alla Sorbona, l’operaio Tommasini viene preso a braccetto da Sartre. A Ginevra la giuria  del Premio Internazionale Schweitzer decide di conferire a lui il riconoscimento.

Assessore ai servizi sociali del Comune

Nel 1980 viene nominato assessore ai Servizi sociali e alla Sanità del Comune di Parma ed è in questa veste che promuove gli orti per gli anziani e istituisce il servizio di assistenza domiciliare.
Nel 1981 ottiene l’affidamento di cinque giovani minorenni autori dell’omicidio di un loro coetaneo (il cosiddetto  “Caso del Federale”) riuscendo con successo a reinserirli nel tessuto sociale cittadino senza ricorrere – ed è questo il primo caso in Italia – al carcere minorile.
Sono di questi anni alcune delle battaglie sociali più significative: istituisce, primo in Italia, il minimo garantito e gli sconti su trasporti, acqua, gas e luce erogati gratuitamente a 1500 anziani non abbienti della città; promuove la realizzazione dei Comitato Anziani di Quartiere, si impegna a favore dei detenuti carcerari col movimento “Liberarsi della necessità del carcere”; contribuisce alla fondazione della cooperativa Sirio che dà lavoro esterno a centinaia di detenuti in semilibertà.

Anziani, Progetto Esperidi e Tiedoli

Un giorno Mario Tommasini va con altri compagni nell’ospizio per anziani. Ha tra le mani una scatoletta rossa che contiene una medaglia d’oro da consegnare a un vecchio partigiano, Alvaro Zucchi. Sembra un giorno di festa. Ma il partigiano Zucchi cerca a fatica di alzarsi dal letto: “Vedete dove sono confinato? E vedete gli altri in questa camera? Non abbiamo nessuna libertà. Tutti possono entrare quando vogliono. Noi per mettere un piede fuori dobbiamo chiedere permessi. Se riuscite a liberarci prenderò la medaglia, altrimenti mettetevela…”.
Mario capisce che c’è un’altra battaglia da affrontare. Capisce la profonda ingiustizia di relegare gli anziani negli ospizi. Tutti hanno diritto a vivere ogni loro giorno nella piena dignità. Nelle loro case, quando è possibile. O nei loro quartieri, nei loro paesi: non deportati chissà dove come ancora avviene. Nel 1991 viene organizzata a Vigheffio una seduta straordinaria del Consiglio Regionale nel corso della quale viene presentato il progetto “Esperidi”.
L’idea di base è il superamento delle Case di Riposo attraverso una rete di strutture dove possano coesistere anziani che vivono autonomamente in appartamento e giovani coppie che in cambio dell’alloggio possano offrire un servizio di “portineria sociale”. Si tratta di un’iniziativa costosa che non incontra il parere favorevole del sindaco Lavagetto, il quale prende tempo ed infine si ritira.
Ma Tommasini non si arrende. Gira la provincia e riesce ad individuare con il sostegno della Provincia una frazione del Comune di Borgotaro: Tiedoli. E qui, con il contributo della Regione Emilia Romagna, del Comune di Borgo Val di Taro, della Provincia di Parma e il sostegno fondamentale della Fondazione CariParma, nasce nel giro di pochi anni una piccola comunità di anziani che vivono secondo le modalità pensate da Mario.

Il difficile rapporto con la politica

Negli anni i rapporti di Tommasini con il suo partito sono diventati sempre più difficili. Non solo per l’incomprensione dei gerarchi. Ci sono eccezioni: Berlinguer, quando viene a Parma, non va nella federazione del partito, ma a Vigheffio, per incontrare Mario.
Non solo per le incomprensioni. Anche per la convinzione maturata nel tempo che il comunismo sognato da quando era ragazzo ha ben poche somiglianze con la realtà che incontra anche nei suoi viaggi nell’Unione Sovietica.
Nel 1990 Tommasini è candidato alle elezioni regionali. E’ secondo soltanto al presidente della Regione. Ma ancora il partito gli nega quello che tutti si aspettano: un assessorato per allargare all’intera Emilia Romagna l’azione straordinaria fin qui condotta.
Da tutta Italia si alzano le proteste. Enzo Biagi scrive: “Mario Tommasini è quello che il Vangelo chiama “un giusto”. Non serve nelle amministrazioni italiane? Non c’è bisogno di buoni esempi? Se a chi salva un’anima spetta il paradiso, al compagno Tommasini compete l’amore e la gratitudine che si deve a chi ha incoraggiato la speranza sulla Terra”.
Nascono attorno a Tommasini, negli anni del Consiglio regionale, movimenti politici che prendono il nome di “Nuova solidarietà” e, successivamente, nel 1998, di “Libera la Libertà”.
Il 1998 è l’anno delle elezioni comunali. Mario è corteggiato da varie parti ma a tutti risponde la stessa cosa: non gli interessano le poltrone, vuole l’assicurazione che saranno realizzati i suoi progetti: in particolare Esperidi. Le garanzie non arrivano. Sarà questa la miccia che innescherà il grande “strappo” tra i Democratici di Sinistra e Mario, che decide a presentarsi in autonomia. Mancano poche settimane alle elezioni. Mancano i fondi. Non manca l’entusiasmo, soprattutto nei giovani. E dalle urne la lista Libera la Libertà esce terza sfiorando il 19 per cento. Alle elezioni del 2002 si ripresenterà con la stessa lista, sostenendo però il candidato del centro sinistra Albertina Soliani.
Le storie di Mario continuano. Le sue azioni per gli anziani, per gli handicappati, per i carcerati, per chiunque abbia bisogno. I suoi progetti nuovi e grandi. La sua gioiosa irruenza. In aprile, nel letto d’ospedale dove un male crudele l’ha confinato nella primavera del 2006, dice agli amici: “Bisogna ancora fare molte cose belle”. Riesce a cantare una vecchia canzone con un filo di quella voce che era stata bellissima. Una voce che si spegne la mattina del 18 aprile.

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